Tutto inizia a Sa Prejone ‘e s’Orcu, cavità carsica situata sul Montalbo ai margini di un grande canale sotto la punta di Su Cucurarvu, nei pressi di Riu Sicu. Ed è in questo luogo, già sacro ai nuragici, che si nasconde appunto s’Orcu, la bestia da portare in paese per essere sacrificata in onore di Dioniso, il dio della vegetazione, della fertilità e dell’estasi. Ritorna quindi a Siniscola l’essenza de “Su Carrasecare anticu”. Sì, perché carrasegare altro non è che “carre de secare”, carne viva da fare a pezzi, da smembrare. Nasce quindi l’associazione “S’Orcu ‘e Montiarvu”, sodalizio che punta al recupero de su connotu con delle uscite nelle sole giornate di Sant’Antoni e di martedì grasso (esclusivamente tra le vie del vecchio centro storico). «Un punto fondamentale del nostro statuto – affermano gli associati - è il divieto tassativo di unirsi al carnevale civile. Ci collochiamo al di fuori delle caricature folkloristiche della nostra tradizione; non cerchiamo forzatamente un posto nel carnevale allegorico moderno o nelle passeggiate estive fuori contesto, per allietare i pomeriggi a turisti in cerca di svaghi alternativi alle spiagge. Non c’è nulla di nuovo nella riproposizione di questa maschera, se non ridare alla luce quelle che erano le usanze del nostro popolo e cercare di riprodurre fedelmente il rito dell’eterno ritorno, dell’acqua e della fertilità». Morte e rinascita, quindi, con il sacrificio de s’Orcu e la vegetazione della nostra terra che ciclicamente riemerge. La maschera? «La figura de s’Orcu – proseguono gli associati – è confermata dalle teorie di Pierina Moretti (esperta di maschere tradizionali), dagli scritti più recenti della studiosa Dolores Turchi e da quelli del gesuita Bonaventura Licheri (fine del ‘700). Fondamentali testimonianze per la ricostruzione delle dinamiche originarie». Ricoperto da una pelle di montone, viso annerito di sughero bruciato, s’Orcu veniva soggiogato da due o più guardiani tramite una corda. Sos Tintinnatos, invece, lo percuotevano tramite “voetes” e forconi. «Su Tintinnatu – concludono – è senza dubbio la figura più conosciuta in epoca recente, ma solamente perché le altre due figure furono accantonate con l’avvento del cristianesimo. L’evangelizzazione forzata delle comunità considerava il rito troppo cruento e pagano. La bestia domata dopo le numerose percosse veniva poi sacrificata. Con il sangue versato che fertilizzava la terra».