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Circolo PD Posada, "25 Aprile in memoria di Bernardino Chiandoni"

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Riceviamo e pubblichiamo il comunicato inviatoci dal circolo PD Posada:

«25 aprile in memoria di Sig.Dino Chiandoni*.
Il circolo PD Posada in occasione dell’anniversario della liberazione vuole ricordare Bernardino Chiandoni, meglio conosciuto a Posada come Sig.Dino Chiandoni. Vogliamo ricordare e far conoscere attraverso la stampa la storia di Bernardino Chiandoni, in un'epoca in cui Posada era luogo di confino. La cosa che più ci colpisce è che questo giovane esiliato perchè propagandava idee diverse da quella del duce, fu proprio colui che fondo e diede un linea politica alla sezione PCI di Posada. Gli anziani che hanno militato con Dino Chiandoni, lo ricordano con emozione, per la sua umiltà, dedizione alla causa, rispetto e correttezza. Sara’ per noi un giorno di memoria, ricordando l’antifascismo e i giovani della resistenza. Una memoria che noi di Posada non potevano non condividere con la terra natale di Sig. Dino. Per questo motivo invieremo una lettera al circolo del Pd numero 5 di Cussignacco ( Udine) , alla 5ª circoscrizione dall’Anpi ( Udine ) e ovviamente alla famiglia. Il 28 Aprile inoltre l’evento organizzato dal circolo PD Posada e Torpè, in collaborazione dell’ANPI Nuoro, sarà occasione per condividere con chi vorrà, una memoria, consapevoli che Bernardino Chiandoni, come raccontano i suoi ormai anziani compagni, abbia portato il valore della resistenza e dell’antifascismo a Posada. Posada Infatti, come tanti altri paesi d'Italia, era ritenuto un paese ideale per isolare un “confinato” . Un posto lontano dal cuore pulsante della lotta. I diversi luoghi della Sardegna scelti dal regime (Urzulei, Bortigali, Ovodda, Talana, Loceri, Nurri, Posada, Padria, Martis e Illorai) per i “confinati” erano luoghi di esilio . Vi finivano perché, appunto, “esiliati”. Il confino era la prova reale che disobbedire, propagandare idee diverse da quella dominante costava caro, ed esclusivamente applicato alle persone ritenute capaci di svolgere attività contrarie alla politica del Duce. Fu qui che, Bernardino Chiandoni del gruppo di Cussignacco ebbe dimora . Chissà come sembrava ai suoi occhi Posada, cosa pensava di trovare, cosa pensava di suscitare. Spedito in un paese fuori dal tempo e dalla resistenza. Un paese mai voluto e mai pensato. Chissà cosa ha provato cogliendo il contrasto di due mondi diversi. E’riuscito, comunque, a ritagliare un proprio spazio, ad amare il nostro Paese, a vivere le nostre abitudini, a insegnare il suo mestiere, a continuare con tenacia e portare avanti l’ideale che l’ha portato lontano da casa, a consegnarsi alla memoria, ai posteri, sotto forma di racconti ,ricordi e proseguo dei suoi valori. Vogliamo che si ricordi Bernardino Chiandoni come esempio, vissuto nel nostro Paese, di una lotta continua per la democrazia, libertà, sacrificio e solidarietà e tenacia. Vogliamo che questo 25 Aprile si ricordi il giovane sarto di Cussignacco confinato a Posada, e dei tanti giovani, anche sardi, usando una frase di Calamandrei “disseminati nelle varie parti d'Italia a rischiare, a lottare perché sorgesse finalmente una Patria libera... ”.

* Bernardino Chiandoni, nel 1931, aveva vent’anni e faceva il sarto. A introdurlo nell’attività antifascista fu il fratello Armando rientrato dalla Francia con idee rivoluzionarie. La bottega di Bernardino divenne il luogo d’incontro dei giovani contrari alla politica del Duce. Tutto proseguì senza intoppi fino al primo contatto con un funzionario del partito comunista emiliano che invitò Chiandoni a ritirare una valigetta in stazione a Udine e a raggiungerlo a Padova. L’incontro avvenne nelle vicinanze della basilica di Sant’Antonio dove il funzionario acquistò sei cartoline uguali, raffiguranti un mezzo busto di donna, e consegnò una a Chiandoni assieme alla valigetta piena di volantini. La cartolina era il segno di riconoscimento tra i componenti del gruppo antifascista. Tant’è che quando a Cussignacco arrivò un poliziotto, qualificandosi come corriere del partito comunista, Chiandoni accetto l’invito di presentarsi a una fantomatica riunione dietro il cimitero solo perché l’uomo estrasse dalla tasca la cartolina. L’unico dettaglio che non tornava al ventenne antifascista fu che lo sconosciuto l’aveva invitato ad organizzare una riunione allargata quando, generalmente, gli incontri erano riservati a gruppi ristretti di persone. Seppur con qualche dubbio, Chiandoni partecipò alla riunione assieme ad altri cinque amici: furono tutti ammanettati e accompagnati nel carcere di via Spalato. Il giorno successivo venne arrestato anche Armando Chiandoni. Bernardino non sapeva che il fratello era rinchiuso nello stesso carcere, una notte però lo sentì tossire e attraverso l’alfabeto Morse iniziò a dialogare con lui superando, di fatto, i muri delle celle. Nel frattempo la polizia perquisì l’abitazione dei genitori a Cussignacco dove trovò solo il libretto “Chi siamo e cosa vogliamo”. Non trovò, invece, il rotolo di volantini che i fratelli avevano nascosto dietro un cassetto e che il padre distrusse dopo aver ricevuto un messaggio cifrato da Bernardino che lo invitava ad accordare il mandolino usando la chiave riposta proprio nel cassetto della cucina. Da Udine, Chiandoni fu trasferito a Regina Coeli e poi a Piacenza. L’amnistia gli alleggerì la pena, Bernardino tornò in carcere qualche mese dopo per un diverbio con un fascista. Venne mandato al confino in Sardegna, a Posada, dove rimase fino al 1959. Qui costituì una sezione del Pci».

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