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Pellet: Iva al 22%? La preoccupazione di consumatori e rivenditori siniscolesi

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Il rischio che nella Legge di Stabilità venga introdotto l'aumento dell'Iva sul pellet per stufe è concreto. La Commissione Bilancio del Senato ha infatti approvato un emendamento che prevede un passaggio dall'attuale 10% al 22%.

Una conferma di tale misura nell'approvazione in aula avrebbe delle ripercussioni immediate nei portafogli dei consumatori, ad iniziare da quelli meno abbienti: l'Iva, infatti, non è un'imposta progressiva e colpisce tutti indistintamente.

Monta la rabbia tra i consumatori siniscolesi, già falcidiati da un alto livello di imposizione fiscale diretta. Ma anche i rivenditori hanno di che protestare.

«Il pellet è come il pane – sostiene uno di essi - riscaldarsi è un bisogno primario, non può essere tassato come se stessimo parlando di sigarette. Abbiamo scioperato contro le tasse comunali, ite depimus àchere como?».

«Chi sceglie di riscaldarsi in questo modo – ha aggiunto un altro – sa che può risparmiare. Se con il gasolio spende 1500 euro l'anno, con il pellet può arrivare massimo a 600. E il governo se aumenta l'Iva a questo bene lo fa perché sa fare i conti. Io a giugno mi rifornisco di 30 stufe a pellet e di 10 a legna. Quelle a pellet le finisco e devo riordinarle. Quella a legna galu so a las bèndere».

Ma se già oggi, con l'Iva al 10%, si vede una selezione nell'acquisto che prescinde dalla qualità («sa zente sèperat su prus baratu chenze pensare a sa salute issoro»), con un aumento si teme una forte contrazione. «Io – dichiara preoccupato un altro - vendo pellet di ottima qualità. Lo vendo a 6 euro al sacco. Ci guadagno ben poco perché a me viene a costare 5,15 euro. Se non voglio perdere clienti non dovrò guadagnarci nulla».

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