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La solidarietà di Siniscola alla resistenza curda contro l'Isis

“Se senti dolore significa che vivi, se lo senti per un altro significa che sei un umano”

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“Nostra patria è il mondo intero”. Non poteva avere altro titolo la serata all'insegna della solidarietà internazionale che si è tenuta venerdì pomeriggio presso la Biblioteca comunale. Dopo l' introduzione a cura di Antonio Satta del movimento Zente Nova -gli organizzatori dell'iniziativa- che ha spiegato le ragioni del sostegno verso i curdi impegnati nella resistenza contro l'assedio messo in atto dai terroristi dell'Isis, è stato proiettato il documentario “Ypg. Un giorno in Siria tra le donne curde combattenti”. 25 minuti che racchiudono i sacrifici, l'eroismo e la forte umanità delle partigiane della “Brigata martire Warsin”. Successivamente hanno preso la parola Antonello Pabis e Salvatore Drago della “Rete italiana di solidarietà con il popolo curdo”, che con i loro interventi hanno anticipato la testimonianza del rifugiato curdo Apo Bakrak.
Pabis, agganciandosi ai frammenti del documentario trasmesso, ha evidenziato il dramma del Kurdistan e del suo smembramento tra Siria, Iraq, Iran e Turchia negli anni successivi alla fine del primo conflitto mondiale: oltre 90 anni di negazione dell'identità e di genocidio.
Oggetto del riferimento non è stata la sola Turchia (dove rimane ancora incarcerato il leader del Pkk Apo Ocalan) ma anche agli altri Stati, inseriti comunque nelle dinamiche della politica estera americana. «L'occidente si è interessato ai curdi solo quando doveva rovesciare Saddam, mai prima di allora; ora è il turno della Siria, considerato il terzo Stato canaglia per gli Usa». Pabis ha sottolineato come il Pkk si sia schierato contro i regimi siriano e iracheno, che limitavano la libertà dei curdi, «ma anche contro qualsiasi intervento militare straniero che poi produce risultati peggiori». In riferimento alla Siria, Pabis ha citato l'evoluzione del cosiddetto Esercito libero che, inizialmente, vedeva anche la presenza dei curdi e dei comunisti siriani, poi «affollatosi di ufficiali che hanno voltato le spalle ad Assad e di miliziani del Fronte Al-Nusra e dell'Isis». Da qui l'autogoverno curdo nella regione del Rojava e l'autodifesa delle Unità di protezione popolare (l'Ypg). «Non è una guerra di religione – ha concluso Pabis – né tantomeno una guerra etnica. È una guerra ideologica perché i curdi stanno costruendo la società del domani. E questo l'occidente non se lo può permettere».
Al futuro del Kurdistan si è collegato Salvatore Drago: «Il Pkk non rivendica più lo Stato curdo in quanto nel loro territorio sono presenti diverse etnie». Una riflessione sviluppata in seguito da Antonio Satta che ha considerato i confini come un «feticcio».
«Il nostro popolo è sempre andato d'accordo con i nostri vicini, ma sono stati i governi, dall'impero Ottomano fino ad oggi, a negarci la libertà». Così Apo Bakrak nel suo drammatico racconto fatto di torture, villaggi bruciati, profughi nelle città turche senza nessuna prospettiva. Non sono mancati i riferimenti ad Apo Ocalan, «il Gramsci del XXI secolo che ha dato un grande contributo nell'emancipazione delle donne curde». Le stesse donne costrette ad impugnare il fucile per difendersi, cariche di valori davanti alla vita umana, anche quella di chi perisce sfidandole. «C'è un detto curdo - ha proseguito Apo - che dice: “Se senti dolore significa che vivi, se lo senti per un altro significa che sei un umano”». Nelle sue conclusioni l'appello al sostegno attivo: «Kobane rappresenta per noi una nuova Stalingrado. Chi sta sulla montagna per difendere la città deve comunque mangiare e in inverno nevica tanto». Condizioni sfavorevoli che si aggiungono alle complicazioni dovute al ruolo della Turchia che «sta a guardare e non accoglie i profughi».
La serata si è conclusa con la coinvolgente musica di Mubin Dunem accompagnato dal Magic Carpet.

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